Ciao, sono nato in una piccola città italiana di circa 7000 persone. Una di quelle in cui si vorrebbe conoscere tutti ma non è possibile conoscere tutti (tanto per capirsi). Nato in una famiglia umile, ho avuto un'infanzia stupenda vivendo in una sorta di casa popolare. Ci conoscevamo tutti: bambini, genitori, nonni, fratelli, sorelle, cugini. Insomma, una di quelle realtà da cui non avresti mai voglia di scappare, specialmente da bambino. Eppure...così decidettero i miei genitori, spinti dalla voglia di riprendere in mano la propria vita per stare più vicini ai loro genitori. Ci trasferimmo in campagna, in un paese di 3000 anime, fortemente cattolico e di estrazione contadina. Luogo che ho amato e odiato allo stesso tempo (ora un po' mi manca).
Tra la polvere del campo da basket resistevo con fatica, mentre segnavo punti e portavo la squadra a vincere. C'era qualcosa di strano in tutto questo, come un profondo senso di disagio, probabilmente frutto di lunghe nottate insonne, cullato dal caldo di un appartamento non mio. Il pallone si tramutava in nero terso, mentre la sua risonanza illuminava il petto. Attimi di simbiosi con il mondo, poi il buio, in un incessante balletto di carta vetrata. Così incominciò tutto.
Ma parliamo di mia nonna.
Nonna è una delle persone più importanti della mia vita: Istriana con carattere molto forte, spesso caparbia. Dall'Istria era partita con mio nonno in una vecchia auto, nascondendo le due figlie nel bagagliaio, mentre dei militari jugoslavi, fucili alla mano, chiedevano passaporto ed il visto per visitare i parenti. Una volta superato il confine, non tornarono più indietro. O meglio, lo fecero, ma molto dopo, con le lacrime agli occhi per ciò che avevano lasciato ed un paese segnato dalla guerra.
Una volta arrivati in Italia, nonna perse una figlia per leucemia a 4 anni, iniziò a bere e presto perse il controllo, sfogandosi con mia madre e colpevolizzandola (indirettamente) per quello che stava subendo. Questo avveniva mentre il marito sopravviveva grazie alla dialisi.
Insomma, una situazione di merda. La descrivereste in altro modo? Ma non preoccupatevi, c'è sempre il lieto fine: o si muore, o si cerca di sistemare la propria vita. E fu così che nonna decise di smettere di bere, grazie anche all'aiuto di mio padre. Ricordo ancora quando andai a Trieste per la prima volta e, di fronte a centinaia di persone, nonna portò a casa il 15° anno di astinenza dall'alcol. Fu un traguardo incredibile, credetemi.
Da lì in poi, nonna fece di tutto per accudire me e mia sorella, crescendoci mentre i nostri genitori "portavano a casa la pagnotta". Li ricordo come anni strani, all'insegna delle prime esperienze da piccolo adolescente, con pochi amici ma con tanta energia. Energia da vendere. Presente quell'energia che ti fa scalare le montagne? E che montagne...
D. "C. ma tu usavi il PICC o il midline?"
C. "mai avuto un midline"
Tra la polvere del campo da basket resistevo con fatica, mentre segnavo punti e portavo la squadra a vincere. C'era qualcosa di strano in tutto questo, come un profondo senso di disagio, probabilmente frutto di lunghe nottate insonne, cullato dal caldo di un appartamento non mio. Il pallone si tramutava in nero terso, mentre la sua risonanza illuminava il petto. Attimi di simbiosi con il mondo, poi il buio, in un incessante balletto di carta vetrata. Così incominciò tutto.
Commenti
Posta un commento